Ma torniamo al corso della “grande Storia”, che ancora una volta travolge con prepotenza e violenza la tranquilla vita di Susa.
La discesa di Napoleone in Italia, nel 1796, scardina il complesso difensivo basato sulla piazzaforte di Susa, aggirandolo dal mare. Le fortezze sabaude cadono senza combattere e vengono smantellate: della Brunetta restano poche rovine, Exilles sarà ricostruita solo con la Restaurazione postnapoleonica, Fenestrelle per un equivoco interpretativo della pace di Parigi resta miracolosamente e nascostamente in piedi.
Ciò che Napoleone sottrasse all’architettura militare lo restituì con i grandi progetti di viabilità su ruota attraverso i valichi alpini. Rendere carrozzabili i colli del Monginevro e del Moncenisio sanzionò un passaggio epocale che spingeva le Alpi lontano da quell’uso limitato e condizionato dei trasporti, secondo logiche locali, arrendendosi di fronte alla chiusura invernale e temporanea dei valichi.
Fu la grande strada del Moncenisio a riscuotere ancora i maggiori consensi, per quel puntare direttamente e brevemente sulla città di Lione, ma anche il Monginevro e lo stesso colle di Sestriere, inseriti nella tratta Grenoble-Savona, furono partecipi di questa grande rivoluzione stradale delle Alpi: nei primi anni del secondo decennio dell’Ottocento i principali tracciati e i più impegnativi lavori erano finiti. Superata ed interiorizzata, nonostante polemiche e sofferenze l’onda di novità portata da Napoleone, a metà secolo XIX il Piemonte si apprestava a iniziare il grande sforzo di unificazione italiana.
Dopo aver consolidato la sua viabilità su ruota, il rinato Regno di Sardegna si dedicò alla nuova frontiera della modernizzazione: la ferrovia.
In questa nuova, grande avventura fu centrale il ruolo del Primo Ministro del Regno di Sardegna, Camillo Benso, Conte di Cavour. Spetta infatti a lui, grande politico ed allo stesso tempo grande tecnico, l’intuizione geniale del Traforo Ferroviario del Moncenisio (poi meglio conosciuto come traforo del Frejus), inteso come chiusura dell’anello mancante tra le ferrovie del nord Europa e quelle italiane: attraverso il Traforo – aperto nel 1871 – passava infatti la mitica “Valigia delle Indie”, il collegamento ferroviario Londra-Parigi-Torino-Brindisi, destinato poi a proseguire per via marittima attraverso il Canale di Suez (aperto nel 1869) fino all’India, perla dell’Impero Britannico.
Nel 1854 il treno faceva quindi il suo ingresso nell’imbarcadero di Susa, da dove quattro anni più tardi si sarebbero incanalate verso la pianura piemontese le truppe di Napoleone III per l’avventura italiana. Ma sarà appunto con l’apertura del traforo del Fréjus che le Alpi smisero di essere una fastidiosa discontinuità superando con oltre 13 chilometri di galleria un tratto impervio della sua catena.
Quella data segnava veramente l’ingresso nell’età contemporanea.
Il prolungamento della ferrovia da Susa (1854) al Traforo del Frejus (1871) giocò tuttavia un brutto scherzo a Susa: per affrontare con più dolcezza la salita verso il Traforo, la nuova linea non proseguì infatti da Susa, ma si staccò una decina di chilometri prima.
La città segusina rimase pertanto connessa alla linea internazionale solo da una “derivazione” e – per la prima volta in venti secoli – si trovò esclusa dalla grande linea dei traffici transalpini.
Facile immaginare lo choc della piccola città, che nel 1871 contava 4379 abitanti, ben di più dei 3270 registrati nel 1838, data del primo censimento moderno. La tenacia e la laboriosità dei suoi abitanti seppe tuttavia inventare un’altra storia per la città, che – seppur non crescendo in maniera eccessiva – seppe inventarsi un nuovo ruolo, come città industriale e centro militare.
Fu una stagione che durò giusto un secolo: al censimento del 1971, con una popolazione di 7245. Abitanti (quindi, + 2866 abitanti in un secolo esatto, + 65%), Susa contava ancora 1128 addetti alle industrie manifatturiere, di cui 391 nel tessile (Cotonificio Valle Susa), 569 nella metallurgia (Acciaierie ASSA), 61 nelle industrie meccaniche.
Se facciamo correre avanti l’orologio di 40 anni, ed arriviamo al Censimento del 2001, è immediato vedere come quel mondo industriale sia totalmente scomparso: le attività manifatturiere occupano circa 200 addetti, ed il numero – così drammaticamente ridotto – è la migliore testimonianza di come Susa sia stata nuovamente obbligata, dopo un secolo, a reinventarsi un ruolo ed un futuro.