La principale risorsa economica della Valsusa, come si può facilmente immaginare, era l’agricoltura. La bassa valle, che comprende la città di Susa e tutta la parte inferiore del distretto, produceva gli stessi prodotti che erano coltivati nel resto del Piemonte, ma in quantità inferiori a causa della qualità del terreno in gran parte sabbioso che era spesso inondato dalla Dora Riparia o da torrenti.
Testimonianze di questi straripamenti si trovano in un documento del 2 marzo 1793:
Ricorso del canonico Gianbattista Domenico essendogli stato corroso il terreno in un prato dell’estensione di 1 giornata nella regione Maddalena per lo straripamento della Dora a causa delle insistenti piogge della primavera scorsa, e deve anche sopportare la servitù del passaggio in un altro suo prato della stessa regione, perché la strada è stata corrosa dal fiume. Chiede perciò alla civica amministrazione che non gli siano più attribuiti i “carichi reali e pubblici” per un pezzo di terreno che non esiste più e che sia costruita una nuova strada.
Il 2 maggio 1794 viene avanzata una richiesta di provvedimenti per la riparazione della strada di Coldimosso, regione del Gran Prato, essendo stata corrosa dalla Dora. Richieste simili a queste si trovano anche negli anni successivi come ad esempio nel 1798, il 4 settembre, quando venne rivolta alla municipalità la proposta di fare delle riparazioni agli argini costruiti sulla Dora nel 1796 nella regione della Maddalena.
I rigori dell’inverno e le gelate primaverili facevano sì che a volte i raccolti fossero molto scarsi; i danni maggiori ai prodotti agricoli li provocavano la siccità e la scarsa profondità del substrato vegetale in montagna, la pendenza del terreno, i venti violenti e periodici che soffiano costantemente nella valle, la qualità del terreno che spesso è una mescolanza di sassolini e sabbia.
Nella bassa valle gli inverni non sono molto rigidi, al contrario che nell’alta valle, l’estate è abbastanza calda, probabilmente, come dice lo Jaquet, per il riverbero delle montagne formate da rocce calcaree.
Nella provincia di Susa c’era una vasta estensione di prati che nel resto del Piemonte coprivano un po’ meno della quarta parte dell’area messa a coltura, mentre qui raggiungevano invece la metà. La grande estensione di prati e di castagneti, nonostante questi fossero quasi completamente assenti dalle valli del Delfinato, rendeva abbondante la produzione di fieno e castagne verdi di cui Susa era fra le massime produttrici del Piemonte.
I) BOSCHI
Esaminando ora i boschi e le terre incolte si osserva che tanto i boschi, che i gerbidi infruttiferi, che i pascoli occupavano in Piemonte un’area tanto ingente che arrivava a poco meno della metà del territorio; tale proporzione valeva anche per la provincia di Susa.
Secondo il Prato, alla metà del 1700, maggiori precauzioni erano osservate in questa provincia per la conservazione dei boschi che dovevano fornire un’ingente riserva di legname per le fortificazioni della zona e per rifornire il regolare fabbisogno di combustibile alla non lontana capitale.
Da studi fatti nella provincia di Susa da Galeoni Napione di Cocconato apprendiamo che, a parere dell’intendente, verso la metà del 1700:
L’originaria grandissima ricchezza forestale della provincia non risentì ancora, se non in parte, dei danni procurategli dall’inosservanza delle leggi.
I carbonai che erano numerosi in molti paesi, rappresentano il maggior pericolo per i boschi che distruggono senza nessun riguardo e irrazionalmente.
Meno funesto, anzi per molti aspetti raccomandabile, è il commercio del legname, cui le agevolate comunicazioni, potrebbero dare un utile impulso. Lo spreco enorme delle comunità del Delfinato, che sostituiscono con il legno ogni altro materiale da costruzione, le devastazioni di carbonai, specie in bassa valle, scomparirebbero se si desse incremento ai commerci forestali.
Molto diverso è il giudizio dello Jaquet sulla situazione dei boschi all’inizio del 1800:
Le fond et le flanc da la vallée dans les endroits qui ne sont pas suceptibles de culture, sont couverts de bois taillis ou de châtaigners: quelle source de richesse, semblent présenter ces forêtes immenses, dispersées sur un sol si ingrat? Eh bien, le croirait‑on? Livrée à la devastation et au gaspillage, elles ne sont d’aucun produit, d’aucune ressource pour les malheureux habitants que elles environnent de toutes parts et la propriété de presque tous ces bois entre les mains des comunes, tout concuru, depuis longtemps, au dépérissement des forêts et à rendre nulle la meilleure, la plus apparente des ressources de cet arrondissement; la guerre a occosioné les plus grands dégats dans les bois.
Il fondo e i fianchi della Valle, nei luoghi che non sono adatti alle coltivazioni, sono coperti di bosco ceduo o di castagneti: quale sorgente o fonte di ricchezza costituiscono queste immense foreste sparpagliate su un suolo così ingrato? Ebbene, lo si crederebbe? Abbandonate alla devastazione o all’incuria non danno alcun frutto, né rappresentano risorsa alcuna per i disgraziati abitanti che sono circondati da ogni parte e la proprietà di quasi tutti questi boschi è nelle mani dei comuni; tutto ciò concorre da molto tempo al deperimento delle foreste e a rendere inutile la migliore e più evidente delle risorse di questo territorio; la guerra ha causato inoltre i più grandi disastri in questi boschi.
Egli perciò pensava che, qualora i boschi fossero diventati proprietà di privati, avrebbero fruttato di più. L’idea è senz’altro sbagliata ed anche contraria al modo di pensare del tempo infatti, proprio in quel periodo, si sosteneva, e giustamente, l’idea che i boschi avrebbero dato maggiori proventi qualora fossero stati tutti amministrati dallo stato che li avrebbe potuti sfruttare razionalmente e non li avrebbe lasciati in balia dell’interesse dei singoli proprietari.
I tratti di terreno fertile e pianeggiante non erano molti perché spesso erano danneggiati o addirittura portati via da valanghe o da frane causate dalle piogge che non trovavano ostacoli e non erano trattenute dagli alberi.
La maggior parte dei boschi era di proprietà comunale e proprio per questo non fruttavano come avrebbero dovuto perché la loro conservazione e riproduzione, esigeva una cura costante che le amministrazioni comunali, cambiando frequentemente, non erano in grado di fornire.
La costruzione della strada del Moncenisio fu importante per lo sfruttamento del patrimonio forestale perché favorì il commercio del legname con la Francia. Lo Jaquet calcola che vi fossero in val di Susa 46.978 giornate di terreno coperte da boschi; questo dato corrisponde senz’altro a verità, essendo il territorio di questo arrondissement in gran parte costituito da montagne, naturalmente ricche di foreste, in particolare ad altitudini elevate di pinete e, più in basso, di boschi cedui e castagneti.
Certe zone dei boschi erano bandite e riservate all’utilizzo per soli scopi militari. La zona del Bosco Nero di Exilles era a disposizione dell’ufficio Fabbriche e Fortificazioni, che prelevava in detto bosco il legname da lavoro occorrente. Le piante utilizzate venivano stimate ed il loro valore pagato al comune. Il bosco Boulangere era pure, bandito e utilizzato come combustibile per i forni da pane per la truppa. In periodo di guerra, invece (per palizzate, gabbioni, baraccamenti), si utilizzava indiscriminatamente quello che era più a portata di mano, compresi gli alberi da frutta.
Si può ben immaginare perciò in che condizioni fossero le foreste, dopo parecchi anni di guerre, quando lo Jaquet divenne sottoprefetto.
II) AGRICOLTURA
Questo distretto è formato, come si può osservare, da due catene di montagne le cui asperità rendono molto difficile ogni genere di coltura. Se si eccettuano le terre che da Susa fino al confine con Torino formano il fondo della valle a fianco della Dora Riparia e perciò sono pianeggianti, per il resto, i terreni sono molto scoscesi, difficilmente raggiungibili e coltivabili solo col lavoro umano, senza poter usufruire dell’aiuto di qualche strumento agricolo.
I terreni erano in gran parte sterili e costavano ai contadini un continuo e duro lavoro. N elle valli del Delfinato i raccolti si ottenevano solamente ad anni alterni ed erano frutto di una diligenza e di un’operosità che non aveva riscontro nelle più fertili terre del piano. L’amore per il paese natio che caratterizzava i montanari, la loro prolificità di solito alta, il clima ingrato e il suolo sterile spingevano agli estremi limiti di perfezione la cura con cui si impegnavano a ricavare dai dorsi sassosi dei monti e dal fondo freddo delle valli devastate dai torrenti, il frugale sostentamento. Qui, fin dai tempi antichi, si sviluppò un’agricoltura che ha del prodigioso, quando si pensa alle enormi difficoltà da superare.
Lo Jaquet ammira la laboriosità degli abitanti della valle, osservando però che non sfruttavano razionalmente i terreni, “l’agricolture semble être encore ici dans son enfance” , infatti le innovazioni del tempo non erano ancora conosciute in questa zona. Quasi dappertutto un terzo dei campi era adibito alla produzione di maggese, non si conosceva l’arte di interrogerle sol, i torrenti procuravano solamente danni e non erano sfruttati per l’irrigazione, non molto progredita era la conservazione dei prati sia naturali che artificiali (rarissimi), mentre a quel tempo dall’abbondanza e dalla qualità del foraggio dipendeva la prosperità dei paesi, l’aumento dei capi di bestiame.
Proprio per la mancanza di foraggio c’era l’abitudine di vendere i vitelli appena nati e poi di rifornirsi dalla vicina Savoia delle mucche necessarie.
Il prodotto agricolo di base era la segala che veniva abbondantemente coltivata e consumata in tutti i paesi della valle. Una delle maggiori produttrici era proprio Susa. Per quanto riguarda il grano, invece, nonostante la sua cultura si fosse diffusa anche in luoghi dove c’era un clima difficile, non era alla base dell’alimentazione della popolazione e non era coltivato in molti paesi, come ad esempio a Susa.
La produzione cerealicola di questa provincia era, intorno al 1805, la seguente:
frumento 56.116 emine,7 méteil 17.677
emine8, segala 83.498 emine, orzo
14.154, avena 18.306, mais 51.3129.
Questa produzione era sufficiente solo per un terzo della popolazione o forse per la metà; perciò la popolazione faceva un uso limitato del pane perché era difficile rifornirsi altrove di cereali ed era sostituito con le patate che ancora oggi vengono largamente coltivate in questa zona.
Le produit le plus avantageux de la partie basse de cet arrondissement et sur‑tout des environs de Suse, ce sont les vins qui sont d’une tres‑bonne qualité.
I prodotti più redditizi della parte bassa di questo circondario e soprattutto dei dintorni di Susa, sono i vini di una qualità molto buona.
I vini più rinomati erano quelli di Giaglione, Meana, Gravere, Mattie, Mocchie, Mompantero e Chiomonte dove l’area dedicata alla coltivazione della vite superava ogni altra coltura. Qui i vini erano prodotti da soli vigneti, mentre nella maggioranza dei paesi della valle erano frutto di vigneti alterni (viti fatte crescere sopra alberi o alti pali per agevolare, nei terreni piani, la maturazione dell’uva). Il vino più rinomato, e molto ricercato in tutto il regno, era quello di Chiomonte, che appunto per questo aveva il prezzo più alto dell’intera provincia. Susa nel XVIII sec. produceva 1236 carre da 10 brenta ciascuna.
Lo Jaquet nella sua statistica propone di incoraggiare la produzione del vino in questa regione favorendone l’esportazione verso la Francia e invitando la società dell’agricoltura a diffondere:
Les principes lumineux du C.en Chaptal et l’instruction du C.en Devaux, sur la culture des vignes et la fabrication des vins.
I principi illuminati del cittadino Chaptal e gli insegnamenti del cittadino Devaux sulla coltura dei vigneti e la produzione dei vini.
Nella bassa valle era fiorente il commercio con la capitale di frutta che veniva prodotta in abbondanza ma, osserva lo Jaquet:
On ignore l’art de soigner et surtout d’élaguer ces arbres et plus encore de les greffer de bonnes espèces.
Non si conosce l’arte di curare e soprattutto di potare questi alberi e più ancora di innestarli con specie migliori
Importante era anche la produzione di castagne; tra gli altri principali generi di consumo, troviamo l’olio che allora era usato, non solo come genere alimentare, ma anche per l’illuminazione. Il consumo d’olio d’oliva era però ristretto alle classi benestanti dati i suoi prezzi proibitivi; il popolo, all’olio d’oliva, fin dai tempi antichissimi, aveva sostituito un olio più grossolano, ma adatto e farne le veci: l’olio di noce. La valle di Susa era una delle principali produttrici di questo genere alimentare che costituiva un cespite di proventi non indifferente.
Questa produzione era così abbondante che il conte Napione di Cocconato osservò che “la frequenza dei noci nei campi riesce persino dannosa alla salubrità dell’aria”.
Lo Jaquet esprime un giudizio negativo su questa coltivazione che, secondo lui, non dà un prodotto tale da compensare il sacrificio di tanto territorio occupato dai noci perché questi alberi rendono sterile il suolo e le loro radici si estendono molto nel terreno impedendo la crescita di altri prodotti.
Per quanto riguarda le valli del Delfinato la produzione di olio di noce era limitata a Chiomonte ed Exilles, sempre a causa dell’altitudine e del clima. Negli altri paesi doveva essere importato ad eccezione della valle di Cesana, nella quale, a detta dell’intendente compilatore di una statistica:
Si trovano moltissimi alberelli, li quali portano delle nocciole selvatiche, col sugo delle quali i terrazzani hanno trovato l’arte di far l’olio di cui si servono per condire i loro cibi, chiamato nella loro vernacola huile de marmotte, ou soit huile de noyeau.
Assai abbondante era la produzione di fieno, soprattutto nelle tre zone del Delfinato, tanto che la valle di Susa era una delle maggiori produttrici del regno in questo campo.
Notevole era poi la produzione di canapa e lino presente in tutti i paesi, ad eccezione di Clavières e Ferrera. Ciò era dovuto al fatto che l’economia del tempo, a causa delle comunicazioni, si basava sulla produzione in loco di tutto quanto serviva ai bisogni della popolazione.
Alla fine del XVIII secolo importante era anche la produzione di cocchetti, cioè di bozzoli da seta, anche in questo caso con l’eccezione delle valli del Delfinato sempre a causa dell’altitudine. I maggiori produttori erano Susa e Villarfocchiardo con 300 rubbi e testa.
III) ALLEVAMENTO
Intorno al 1800 come osserva lo Jaquet:
Le nombre des bêtes à cornes dans cet arrondissement est diminué à peu près du tiers, depuis dix ans, par les ravages de l’épizootie et les requisitions militaires. Les suites de cette diminution sont encore tres‑sensibles, non seulement pour la fortune des cultivateurs, mais pour les travaux de l’agricolture, parce que la perte a porté principalement sur les boeufs et les vaches destinés au labourage.
Continuellement employé pour les transports militaires, ces deux espèces d’animaux ont été plus exposés à être infectés ou enlevés par les armées dans leurs différentes retraites: ainsi comptait on dans la basse vallée, avant la guerre, 300 boeufs attelés et on en compte plus que 86.Il numero delle bestie con le corna in questi territori è diminuito pressappoco di un terzo in dieci anni, per le devastazioni della epizoozia e le requisizioni militari. Le conseguenze di questa diminuzione sono ancora molto evidenti non solamente nella ricchezza dei coltivatori, ma anche nei lavori dell’agricoltura, perché le perdite sono state maggiori fra i buoi e le mucche destinati ai lavori agricoli.
Continuamente utilizzati per i trasporti militari, queste due specie di animali sono state più esposte alle infezioni o prelevate dalle armate durante le varie ritirate: prima della guerra nella bassa valle si contavano 300 buoi, attualmente se ne contano solo più 86.
Nei comuni di montagna non venivano usati i buoi, ma le mucche per i lavori nei campi; al posto dell’aratro veniva usato un altro attrezzo più piccolo che sfiorava soltanto il terreno e perciò aveva effetto solo dove era già stato lavorato in precedenza. Tra i bovini c’era una netta preponderanza di vacche da latte e in misura minore di vitelli da macello; soprattutto le prime erano numerose e allevate in tutti i paesi della valle in special modo nei centri delle tre zone del Delfinato.
La vacca da latte era infatti l’animale per eccellenza di queste zone fredde e ricche di pascoli, perché, oltre che di cibo, era anche fonte di calore. Infatti in questi luoghi, fino a non molto tempo fa, i contadini, in inverno, usavano trasferirsi nelle ampie stalle che ogni casa possedeva, per ripararsi dal freddo. Lo Jaquet osserva che in questo paese interamente agricolo, la cura maggiore doveva essere dedicata appunto al bestiame che costituiva la principale ricchezza da cui derivavano anche le altre, e lamenta che nella valle questo aspetto sia trascurato e non ci si occupi di migliorare gli allevamenti; per questo egli dice che le bestie:
Sont d’une tr.s‑petite espèce et n’ont point les traits d’une race distinguée; ce serait un projet digne de l’attention du gouvernement et de la société d’agriculture, que celui que tendrait à procurer, dans chaque canton, des toureaux étrangers, de belle race. On ne saurait croire combien il importe d’améliorer la quantité du bétail qui est ici aussi abatardie qu’elle puisse l’être, il y a, à la vérité, quelques communes qui ont des gardes toureaux, mais comme on n’apporte aucun soin sur le choix de ces animaux, il s’en suit que cette institution qui est tr.s‑bonne en elle même, contribue encore à degrader la race.
Sono di una razza molto piccola e non hanno nessuna caratteristica particolare; sarebbe un progetto degno dell’attenzione del governo e della società di agricoltura, quello che mirasse a procurare in ogni cantone dei tori di paesi diversi, di bella razza. Sarebbe importante migliorare la quantità del bestiame che qui è molto imbastardita; ci sono in verità alcuni comuni che hanno dei guardiani dei tori, ma, dato che non si dà alcuna importanza alla scelta di questi animali, ne consegue che questa istituzione, che è molto buona in se stessa, contribuisce ancora a degradare la razza.
Prima della guerra, in questa provincia, si contavano 49.216 animali con le corna e dopo la guerra solo 28.127 così ripartiti: buoi 86, vacche da lavoro 1614, vacche da latte 10.917, giovenche 7.300, vitelli 8.210. Il foraggio ricavato in queste zone era sufficiente a nutrire una quantità molto più grande di bestiame, specialmente se, come suggerisce lo Jaquet, si fossero moltiplicati i prati artificiali e bonificati i terreni ricoperti di cespugli. Egli pensa che questa situazione di scarsa introduzione delle innovazioni nel campo agricolo, sia dovuta al fatto che le terre sono divise in appezzamenti troppo piccoli dal cui ricavato dipende la vita del contadino che perciò “est peu tenté de faire des expériences”.
Sempre agli inizi del XIX sec. c’erano nell’arrondissement di Susa 29.003 pecore di cui la maggior parte nell’alta valle. La loro lana era grossolana ed era usata per confezionare i rozzi vestiti usati dalla popolazione locale e non veniva esportata. Ciò era dovuto al fatto che gli animali non erano curati a sufficienza; infatti erano lasciati per gran parte dell’anno in stalle scure, infette, e in poco spazio.
Lo Jaquet suggerisce al governo di dedicare attenzione ed impegno a questo allevamento che qualora venisse alimentato da razze migliori e più curato, essendoci una grande estensione di pascoli, potrebbe incrementare l’industria della lana evitando così che la maggior parte della popolazione fosse costretta ad espatriare per sette o otto mesi all’anno in cerca di lavoro. Mentre nell’alta valle era presente la maggior parte delle pecore, dove il suolo arido e sterile non era coltivato che a prezzo di enormi fatiche e con scarsi risultati e la popolazione perciò si dedicava all’allevamento, nella bassa valle alle pecore erano preferite le capre, che raggiungevano circa le 9.000 unità.
I cavalli erano rari, 104 in tutto, di cui 58 usati come cavalli di posta; questo era dovuto al territorio montuoso, ai sentieri disagiati e aspri della zona, più adatti ai muli che, prima della guerra, come osserva lo Jaquet, erano 1500 e poi solamente più 617, sempre a causa delle numerose requisizioni che si verificarono soprattutto nel 1798, 1799, 1800, come già visto in precedenza. Gli asini erano gli animali da soma più diffusi nella valle e più adatti al reddito degli abitanti, essi supplivano in molti servizi i muli, il cui acquisto era spesso al di sopra delle possibilità economiche dei contadini.
Arturo Young ricorda che in valle di Susa era praticato un ottimo metodo di allevamento ed ingrasso, basato su sistemi di alimentazione razionale. Caso questo eccezionale, datosi che era ben piccolo, in tutto il paese, il numero degli animali sottratto all’empirismo settecentesco dalla semplice consuetudine pastorizia.
A Susa, le guarnigioni che vi stazionavano prima e dopo, i numerosi eserciti di passaggio, avevano fatto sì che la grande piazza D’Armi fosse adibita a “mercato della carne in piedi”, cioè qui venivano riuniti gli animali (bovini) che seguivano gli eserciti per fornire loro sempre carne fresca.
Grazie a questo fatto e anche per l’importante mercato di bovini che qui si svolgeva, la città era dotata inoltre di un macello gentile e di uno “ad economia” la cui attività era soggetta ad un preciso regolamento:
- Non smaltire carne di vitelli immaturi;
- tenere la città rilevata da ogni diritto di gabella e di uniformarsi in quanto a questo al disposto dell’editto 14 gennaio 1720;
- non eccedere nella vendita delle carni il prezzo posto dal deliberamento, anzi di non esigerlo ancorchè spontaneamente gli venisse offerto dagli accorrenti e medesime dagli osti;
- di tenere ogni giorno la necessaria quantità di carne per uso di tutti gli accorrenti al macello indistintamente e maggiormente per gli ammalati a quali sarà tenuto distribuire in qualunque tempo ed ora verrà richiesto; e in ogni sabato e dopo pranzo e sera del giorno precedente ad una festa;
- di non smaltire qualità di carne diversa da quella che deve vendersi in un macello gentile o di vitelli morbosi, o anche solo sospetti;
- di dare a ciascuno il giusto peso e di tenere in vista il prezzo;
- di non tagliare il grasso della carne;
- il sito del macello non dovrà avere un doppio ingresso;
- di tenere il macello e i dintorni liberi dalle immondizie;
- è proibito unire il macello gentile a quello di bestie grosse che anzi, dovrà essere discosto;
- saranno vendute solo carni di vitello in precedenza bollate.
Regole simili erano stabilite per il “macello ad economia”.
IV) INDUSTRIA E COMMERCIO
Scarsa importanza rivestiva in valle l’industria, non esistevano infatti centri che si dedicassero esclusivamente alla produzione industriale. Questo fatto colpisce e nello stesso tempo indigna lo Jaquet che dice:
Dans tous les pays montueux de l’Europe, même dans les vallées du Piémont, telles que celles Bielle, la Val‑Sesia, la Val d’Aoste, il existe quelque genre d’industrie, quelque branche de commerce particulier: la seule vallée de Suze fait une exception bien honteuse pour le gouvernement, sous lequel elle a gémi jusqu’à ce jour.
In tutti i paesi montagnosi dell’Europa, persino nelle Valli del Piemonte, come la Valle di Biella, la Val Sesia, la Valle d’Aosta, esiste qualche tipo di attività industriale, qualche tipo di commercio particolare; soltanto la Valle di Susa fa un’eccezione molto vergognosa per il governo, sotto il quale ha sofferto fino ad oggi.
Continua osservando che il fenomeno è quasi inspiegabile perché la sua posizione è ottima, essendo così vicina alla Francia; le sue montagne sono ricche di minerali, di foreste, che potrebbero dar vita ad un fiorente commercio di legname, sia per la costruzione, che per essere bruciato, di ampi pascoli che potrebbero nutrire mandrie e greggi; i suoi terreni sabbiosi sono adatti alla fabbricazione del vetro, i numerosi corsi d’acqua permetterebbero di irrigare qualsiasi terreno e lo stesso carattere degli abitanti è attivo e laborioso.
Qu’elle est donc la cause de la misère profonde où elle gémít?
Qual è dunque la causa della miseria profonda in cui si trova?
A questa domanda egli risponde attribuendo la colpa alle imposte eccessive da cui era gravata la popolazione (ma non considera che anche il governo francese non faceva nulla per alleggerire questo genere di spese), e al reddito appena sufficiente alla sussistenza che non permetteva delle speculazioni e allo scarso incoraggiamento da parte del governo che non si preoccupava di portare a conoscenza dei contadini nuovi metodi di coltivazione o di allevamento.
Lo Jaquet dice il vero; infatti l’unico paese della valle che si poteva fregiare del titolo di “centro industriale” era Rubiana che possedeva delle piccole concentrazioni industriali, (lavorazione di tele di canapa e lino), mentre le altre imprese di questo tipo esistenti in valle erano più che altro a conduzione famigliare.
L’industria, se così si può chiamare, era nient’altro che una occupazione invernale a cui si dedicavano alcuni contadini per aumentare le loro entrate.
L’industria laniera doveva lottare contro molte difficoltà ed era costretta a prendere dall’estero la maggior parte dei suoi approvvigionamenti. Solo nell’alta val di Susa, in molti paesi del vecchio Delfinato (14 su 23) esistevano nelle case private dei telai per mezzo dei quali gli abitanti confezionavano dei grossi panni di lana da montagna.
In alcuni borghi, la stoffa così fabbricata, serviva appena per il fabbisogno locale; in altri (Bardonecchia, Oulx, Beaulard) si lavorava anche per esportare inviando i tessuti alle fiere di Susa, Bussoleno e anche Pinerolo.
Fiorente era la produzione di tela di canapa e lino, rivolta di solito al consumo domestico che rappresentava solo una fonte di guadagno supplettivo per i grossolani artefici dei villaggi. A Susa, come nella provincia di Torino e di Cuneo, assunse un aspetto di grande importanza.
La richiesta della capitale fece sorgere, già intorno alla metà del 1700, le prime prospere fabbriche di Coazze (400 telai), Giaveno (60), Rubiana (60).
Nell’alta valle questa produzione era pressoché nulla. L o Jaquet parla di un negoziante di Briançon che, prima della rivoluzione, aveva cercato di introdurre nella valle di Bardonecchia la filatura del cotone, ma la guerra impedì che quest’iniziativa avesse seguito.
Egli si dimostra contrario all’instaurazione di fabbriche in questa zona dicendo che il lavoro a domicilio è preferibile perché le manifatture:
Outre l’inconvénient des fonds considérables qu’elles exigent, ont celui commune à tous les rassemblemens d’hommes, d’altérer la moralité, unique richesse des habitants da ces pays”
Le manifatture oltre a richiedere degli investimenti considerevoli, hanno in comune in tutti i gruppi di uomini, di modificare la moralità, unica ricchezza degli abitanti di questo paese.
Da ricordare anche la produzione dei latticini concentrata nelle valli del Delfinato. Lo Jaquet riporta il numero di attività industriali esistenti nell’arrondissement di Susa:
Officine 17, mulini 104, gualchiere 6, filatoi 9, concerie 19, presse a olio 31, chioderie 2.25
Nella valle quasi tutti gli uomini validi, verso la fine di settembre emigravano: alcuni scendevano nelle pianure del Piemonte e della Lombardia a pettinare la canapa. Ritornavano a primavera e i loro risparmi servivano in parte a pagare le contribuzioni; anche il ricavato delle industrie serviva appena a pagare le tasse.
Gran parte degli abitanti della bassa valle si recava nel circondario di Torino, nella stagione della mietitura, mentre le donne e i bambini si sparpagliavano per spigolare e mettere così qualcosa nei loro panieri. A volte l’emigrazione li portava ad un definitivo espatrio. Generalmente però non era l’estrema miseria ad indurre i montanari a lasciare le loro case, essi infatti, molte volte, preferivano poltrire nell’ozio e nell’indigenza durante l’inverno, a causa anche, talora, dell’assoluta impraticabilità delle strade, in alcuni comuni orribili anche d’estate.
I valligiani erano distolti in gran parte dall’emigrare (se non temporaneamente o stagionalmente come si è visto prima) dalla facilità con cui potevano procurarsi legna e carbone sul luogo, rivendendoli poi con sufficiente profitto a Torino.
Per quanto riguarda il commercio, esso era ostacolato anche dalle cattive condizioni delle già scarse vie di comunicazione; gli scambi erano pochi non solo tra provincia e provincia, ma anche tra Susa e la restante parte dell’arrondissement. Per ovviare a questo stato di cose, si cercava di produrre in loco tutto ciò che era necessario al fabbisogno della popolazione e, per procurarsi il denaro necessario per comprare i prodotti mancanti, gli abitanti dei vari paesi erano soliti in inverno, la stagione morta per l’agricoltura, praticare un altro mestiere.
Lo Jaquet ci informa che :
Tout son commerce, dans l’état actuel, consiste à exporter du charbon, des bois flottés, du fer, quelques montons, quelques bêtes à cornes et environ le sixième de ses vins”
Tutti i commerci consistono nell’esportare carbone, legname fluitato, ferro, qualche montone, qualche animale con le corna e infine un sesto dei suoi vini.
Le esportazioni fatte in 10 anni sono queste:
Vino 4000 brente28, Carbone 170.000 rubbi29, Legname 600 tese30, Ferro 16.000 rubbi, Pecore 2000, Vitelli 400, Castagne 10.000 emine.31
Gli oggetti di importazione erano i cappelli, la maglieria, le stoffe e qualche prodotto di lusso come il caffè, lo zucchero etc. Quindi il commercio era limitatissimo e non bastava certo a fornire il denaro necessario per il pagamento delle imposte.
V) FIERE E MERCATI
Gli scambi dei prodotti in eccedenza, di quelli fabbricati durante l’inverno e gli acquisti avvenivano in occasione del mercato e soprattutto delle fiere. Importante era la fiera che si svolgeva a Susa ogni anno nel mese di settembre della durata di giorni tre.
Nella fiera che ivi si fa si commerciano bestie bovine in quantità grande, le quali provengono, la maggior parte dalla Savoia e le restanti dalle valli del Delfinato, da Pragelato e dalla restante provincia. Si commerciano altresì tele di Giaveno e drappi grossi di lana fabbricati nelle valli del Delfinato e in Rubiana, come pure qualche cavallo e muli che provengono dal Brianzonese, dalle valli suddette e dalla provincia.
Il maggior commercio è, però, di dette bestie bovine e particolarmente di maggioni che si conducono dalla Savoia. Le dette bestie sono comprate la maggior parte dal Piemonte e dal Canavese, parte anche dal Monferrato e poche dal Brianzonese.
Ogni anno, fino al 1798, in occasione della fiera veniva esposto un:
Manifesto d’invito alla Fiera franca della città di Susa
Li consiglieri notaio collegiato e considico Gio’ Ludovico Chiatellar e avv. Filiberto Garelli, giudici e conservatori della prossima fiera di questa città. Ad ognuno sia manifesto che per convocato del 22 agosto ultimo, sia l’ordinario consiglio di questa città de’ privileggi alla medesima, da lunghissimo tempo accordati da Reali Sovrani, devenuti alla nomina di giudici e conservatori della pubblica fiera che quest’anno cade il 24-25‑26 di settembre e per tutto ciò che può essere alla medesima relativo, pendenti 9 giorni, cioè i 3 dell’accesso, i 3 del soggiorno e i 3 del ritorno, con tutta l’autorità decide tutte le questioni che siano per nascere nel negozio del bestiame e mercinomio d’ogni altro genere, o capo di robba che sia per introdursi in tale occasione e per la pronta provvidenza a tutti quegli abusi e truffe come da tempo antichissimo è praticato. Inesivamente, per tale autorità, mandiamo al primo usciere di rendere, come rendiamo noto al pubblico, siccome la detta fiera cadrà quest’anno ne’ sovra specificati giorni, sarà a libera disposizione di chicchesia concorrervi e commerciarvi senza timore di molestia alcuna sia nel personale che nelle merci, bestiame o robba, ingiungendo ad ogni commerciante e contrattante, nel caso di qualche frode e trufferia che potesse succedere, di rivolgersi a noi per avere un adeguato provvedimento coi mezzi più pronti e dalla ragione permessi. Intanto per muovere maggiormente il commercio in tali giorni e per prevenire monopoli, raggiri illeciti ed altre fraudolenze, inibiamo a tutti indistintamente di recarsi verso la Savoia o il Piemonte per ivi far contratto di bestiame o di altra cosa prima di detto giorno. Prescriviamo poi ai ritrovatori di bestie o merci smarrite di dovercele consegnare con i loro connotati in custodia e restituzione ai proprietari.
Destinazione dei siti: per le bestie bovine d’ogni sorta, lanute e caprine dalla porta dell’arco inferiormente fino al ponte sovra Cinischia, nei prati e campi laterali ed anche le parti senza occupazione della strada. Per le cavalline, mulatine ed altre da sella e da basto nei fossi di dietro le mura della città verso ponente e verso il convento dei padri di S. Francesco, senza ingombramento delle altre strade. Per le merci grosse, cioè boscami lavorati, panni del paese, ferramenta, stagno, rame, canapa, ortaggi e altri simili inclusivamente alle granaglie, le piazze di S. Giusto e fuori porta Piemonte, mediante il libero passaggio nelle medesime per le merci fini e moderne, le contrade della città oltre li sovrastabiliti siti, le solite botteghe degli negozianti in città con la condizione di niun impedimento al libero traghetto nelle contrade.
Come si può osservare, le fiere erano soggette a delle precise regole che venivano fatte osservare dai giudici nominati a questo scopo.
Nel 1812 venne avanzata la richiesta di istituire una seconda fiera:
Considerando che questa città è situata alla confluenza di due strade del Moncenisio e Monginevro e perciò si trova in una posizione favorevole al commercio, soprattutto dei tre dipartimenti militari del Po, del Monte Bianco e delle Alte Alpi. E poichè durante l’antico governo non aveva avuto il beneficio che di una sola fiera annuale che continua a svolgersi il 23‑24‑25 settembre, adesso che le relazioni commerciali si sono molto sviluppate, è interesse della città avere una seconda fiera il 14‑15‑16 maggio. Questa fiera, stabilita in primavera, sarebbe utile alla città procurando una nuova possibilità di smerciare il vino che è il principale prodotto del suo territorio, utile anche all’acquisto dei grani e dei generi mancanti. Sarà anche utile al commercio dei paesi vicini che in questo periodo hanno bisogno di un punto di riunione comodo per il commercio del bestiame che dal piano è condotto ai pascoli alpini.
Nella città si teneva inoltre un mercato ogni martedì per il commercio del grano necessario agli abitanti di Susa, della segala, avena, burro e formaggio.
Il grano era portato da commercianti di Rivoli e della provincia; la segala in parte dalla Moriana e dalle valli del Delfinato e qualche volta (quando ne era permessa l’importazione) dal Brianzonese. L’avena proveniva da diversi paesi della bassa valle, in particolare da Mocchie e S. Giorio. Si commerciavano inoltre le castagne e un po’ di fieno che veniva comprato dagli osti e dai mulattieri. Il burro proveniva dalla Savoia ed era comprato soprattutto dai rivolesi che lo portavano poi fino a Torino.
La città di Susa si distaccava dal resto della valle proprio grazie a questi commerci che facevano sì che la popolazione, anziché emigrare anche solo stagionalmente, si occupasse di commercio, aprisse dei negozietti o delle osterie che dovevano rifocillare ed ospitare i mercanti in occasione delle fiere o dei mercati. Specialmente grazie alla costruzione della strada del Moncenisio, questa categoria di persone aveva visto fiorire la propria attività, infatti per ospitare i numerosi viaggiatori si erano aperti parecchi alberghi: quello della Posta in Piazza del Sole, l’Albergo Savoia sulla omonima piazza e non lontano, sotto i portici di piazza S. Giusto, la Croce di Malta. Il Piccolo Parigi aprì i battenti in via Torino e la Bonne femme in via dei Mercanti. Il Gran Valentino si trovava in via Norberto Rosa. I primi quattro esercizi furono chiusi nella prima metà del secolo.
VI) PAUPERISMO
L’avvento dei francesi, soprattutto negli ultimi anni del loro governo, aveva portato dei sensibili miglioramenti specie dal punto di vista del commercio, anche se non tutti i cittadini ne risentirono i benefici effetti. Durante il dominio sabaudo una grave piaga affliggeva in modo più sensibile le popolazioni: il pauperismo. Le crisi e gli ostacoli allo sviluppo che insidiavano sia nell’agricoltura, che nel commercio, che nell’industria, il progredire dell’economia piemontese, danno la portata di quale gravità dovesse assumere il fenomeno del pauperismo negli anni di maggior penuria.
Una serie di cattivi raccolti, l’assentarsi dei contadini per una campagna di guerra, spesso bastavano a provocare lo spopolamento di interi villaggi, i cui abitanti si portavano questuando nelle città e nei maggiori borghi. Nei tempi normali poi l’equilibrio non tardava a ripristinarsi, ma rimaneva nelle tendenze e nelle abitudini quella propensione all’accattonaggio che nelle stagioni meno operose spingeva tanti contadini a percorrere le strade sfruttando la pubblica carità.
Provvedimenti a questo proposito furono presi spesso a cominciare da Vittorio Amedeo II che con regio editto del 19 maggio 1717 stabilì di estendere la costituzione di ospizi o almeno di congregazioni di carità, a tutto il Piemonte. Queste istituzioni avevano il compito di gestire i capitali frutto di donazioni, di raccogliere e distribuire man mano le somme fornite da cittadini caritatevoli.
Là, dove le rendite degli istituti non permettevano di ospitare in permanenza i mendicanti, la congregazione si riduceva ad un semplice organo distributore di soccorsi e questo era il caso delle congregazioni della carità della provincia di Susa, che diedero dei buoni frutti infatti la mendicità era quasi nulla avendo quasi tutte le congregazioni qualche reddito. In alta valle i fondi eccedevano addirittura i bisogni, tanto che vi affluivano poveri anche da altre parti del Piemonte”.
Affermazione questa del Prato che si reputa esagerata e contraddetta dalle parole dello Jaquet a cui si deve dare maggior credito.
A Susa, prima dell’avvento dei francesi, c’era una congregazione di carità che distribuiva il pane ai poveri una volta alla settimana. C’erano anche due confraternite (sodalizi di mutuo soccorso per le malattie e spese funerarie, con scopi di assistenza e filantropia), una era sotto il titolo dello Spirito Santo, l’altra del Santissimo Nome di Gesù.
In epoca francese queste erano scomparse infatti lo Jaquet dice che :
Ceux oú les établissements de bienfaisance sont d’une nécessité plus absolue, sont souvent ceux où il en existe le moins, tel est le sort de cet arrondissement que, théatre de l’indigence la plus profonde, il n’y a pas d’asile pour la vieillesse malheureuse ou infirme, ou pour le pauvre sans ressource et sans travail; il y a, à la verité, deux hospices pour les malades, l’un à Suze pour six lits, l’autre à Giaveno pour huit, l’un et l’autre destinés aux seuls habitants de ces communes.
I paesi in cui gli istituti di beneficenza sono di una necessità più assoluta, sono spesso quelli in cui ne esistono di meno, questa è la sorte di questo territorio che, teatro dell’indigenza più profonda, non ha ricoveri per la vecchiaia infelice o malferma, o per il povero senza risorse e senza lavoro; ci sono in verità due ospizi per gli ammalati, uno a Susa con 6 letti, l’altro a Giaveno con 8 letti; l’uno e l’altro destinati ai soli abitanti di questi comuni.
Quello che dice lo Jaquet non è del tutto vero perché, come si è visto, esistevano delle istituzioni assistenziali e a Susa, verso la metà del XVIII secolo, c’erano due ospedali. Uno, l’Ospedale dei Pellegrini, la cui amministrazione apparteneva al capitolo di S. Giusto, che nominava un rettore che aveva il compito di impiegare il reddito dell’ospedale per soccorrere i pellegrini di passaggio; l’altro, l’Ospedale dei poveri infermi, amministrato dal prevosto della collegiata di Susa e dagli amministratori della congregazione di carità. A Susa, non esisteva invece il Monte di pietà, quasi sempre presente nei centri di qualche importanza.
Il Sottoprefetto suggerisce, per occupare e nello stesso tempo mantenere i poveri che non mancavano, di installare:
Des ateliers qui, en utilisant les bras du pauvre, pussent devenir une pepinière d’ouvriers dans les artes mécaniques, tres‑negliges dans cet arrondissement et dont il a le plus grand besoin.
Dei laboratori, che utilizzando il lavoro dei poveri, possano diventare una fonte di operai esperti nelle arti meccaniche, molto trascurate in questa provincia e di cui c’è molto bisogno.
Suggerisce anche di instaurare queste officine nel seminario di Susa che sarà invece adibito a scuola. Le sue ottime idee, provenienti dal suo spirito illuminista, spesso non vennero prese in considerazione dal governo
VII) DENARO
L’instaurazione del nuovo governo aveva modificato il valore delle lire antiche di Piemonte, svalutate del 10% quando furono sostituite dai biglietti nel 1799 e rivalutate del 10% diventando franchi francesi.
Perplessità e diffidenza fra la popolazione avevano diffuso questi cambiamenti, infatti serpeggiava il timore, insinuato anche dai nemici del nuovo governo, che i biglietti e le monete sarebbero stati presto soggetti ad un nuovo ribasso. Il Governo provvisorio si affrettò a smentire queste voci rivolgendosi ai cittadini. Il 20 nevoso anno XII il Fava scrisse con queste parole alla segreteria di stato:
Il governo provvisorio, con una robusta saviezza e con rapidissime determinazioni, ha dato dei tagli coraggiosi per restituire la sanità di un corpo infetto; ha depurato le finanze nazionali, ha assicurato nelle mani dei vostri figlioli una moneta che porta con sè il pane e la sussistenza. Credetemi pure, ha riscosso gli applausi universali. Date una scorsa al prezzo dei vari generi di prima e seconda necessità, ai generi di costume, di convenienza, di lusso, compiacetevi di farne il confronto con il primo solito e fermo prezzo a cui si vendevano da circa un anno nella moneta che portava l’impronta della povertà e della miseria e vedete che il negoziante e il ricco raddoppia il suo patrimonio e il povero e chi suda per la repubblica, spende precisamente il doppio di prima. Questi sono fatti e non parole. Io ho qui mangiato il mio pane a 4 o 5 soldi da un anno e più, ho bevuto il vino a 15 o 18 soldi per ogni pinta. Ma il prezzo del cambio passava ormai dei 2/3 il valore nominale dei prezzi correnti. Ora metto in commercio un argento reale, lo presento ai commercianti e non è più l’argento di un mese fa. Il metallo soffre forse di qualche evaporazione o cresce alle stoffe il pelo o ai capi il peso o ricevono, per qualche spirituale infusione, un aumento di bontà? Li amabili mesi di frimaio e nevoso, sono i mesi della libertà, candore e felicità. Tutto deve spirare a un minore intoppo e minore austerità. Ma i nemici li abbiamo per dentro e per fuori, per terra e per mare. Tutte le furie sono in movimento. In Susa il frumento costa L. 7, un vaso di vino soldi 14; questo vuol dire, per il frumento L . 21 di prima moneta, per il vino L . 2. N on giunsero mai prima a questo segno questi generi.
Non vi parlo delle carni. Io temo che la classe degli ex‑nobili faccia una lega maliziosissima con i negozianti. Pregate il governo provvisorio di un pronto rimedio e di un potente argine alle fatalità nascenti. Intanto cosa io debba rispondere alle infinite querelle giustissime, dalle quali sono assordato, contro la sordidezza del commercio in questa città e come debba frenare le voci di diffidenza e di censura sulle assicuranti tasse, alle quali siamo miseramente legati senza il rapporto di proporzione colle monete correnti, io non lo so e non intendo nemmeno come possano i nostri negozianti, con un privato congresso, formarsi delle tasse arbitrarie, sotto pene ai venditori di un minor prezzo, come si è fatto in Susa.
Quindi la difficoltà della situazione veniva attribuita dai repubblicani all’ingordigia dei commercianti sospettati addirittura di essere in combutta con gli ex‑nobili e di agire così per screditare il nuovo governo.
Lamentele venivano rivolte più tardi, nel 1812, a causa dello stabilimento del “diritto territoriale” sul Moncenisio che faceva sì che fosse quasi estinto il commercio del vino con la Savoia che ne era il maggiore esportatore.
Questo diritto, fissato a 2 franchi per cavallo o mulo, è troppo pesante per alcuni negozianti che non possono sostenere questa spesa nel passaggio fra il cantone di Susa e quello di Lanslebourg.
Per quanto riguarda il pagamento degli operai, l’argomento è trattato dallo Jaquet nella sua statistica:
La journée de travail a éprouvé beaucoup de variations depuis díx ans; avant cette epoque, elle était pour les montagnes, de 7 à 8 solds; et pour la plaine, de 10 à 12.
La giornata di lavoro ha subito molte variazioni nell’arco di dieci anni; prima di questo periodo era, in montagna, fra i 7 e gli 8 soldi e in pianura fra i 10 e i 12.
I numerosi lavori di distruzione delle fortificazioni e la svalutazione della moneta fecero alzare il prezzo di una “giornata” a livelli esorbitanti anche a causa della scarsezza degli operai, essendo quasi tutti in questo paese piccoli proprietari terrieri. All’inizio del 1800 essa era di 12 o 15 franchi in montagna e di 18 o 23 nel fondo valle.
Questi salari troppo alti erano, secondo lo Jaquet, una delle cause della costante mediocrità della fortuna di questa gente, infatti chi possedeva dei terreni vasti era costretto a ricorrere all’aiuto di operai che con le loro paghe troppo elevate, rendevano quasi nullo il profitto del proprietario. Egli si augura che presto i salari possano tornare ai livelli precedenti.