La fine dell’evo antico e l’affacciarsi del Medioevo portano, a Susa come in tutto l’Occidente, ad una lunga epoca di eclissi, per quanto attiene allo sviluppo della città ed alla gestione di quelle grandi strade transalpine, che avevano fatto appunto la forza e la ricchezza della Segusio romana.
Per circa cinquecento anni i documenti scritti si fanno rarissimi: ma di certo sappiamo che scomparve la possibilità di attraversare le Alpi con carri e carretti; solo muli, cavalli e la fatica dell’uomo restano a disposizione, per unire mondo franco-germanico e mondo italico.
Se il Medioevo di Susa e della sua Valle vede un arretramento della viabilità e dell’organizzazione urbana, quella stessa epoca è anche il momento del nascere di grandi avventure spirituali e religiose, che lasciano nelle nostre zone preziosi ed antichi monumenti della Fede.
L’occupazione dell’area alpina da parte dei Franchi (popolo germanico che occupa l’antica Gallia, ponendo le basi per la futura Francia) porta infatti alla prima grande fondazione monastica: la Novalesa in val Cenischia, corto percorso vallivo che da Susa, lungo un affluente della Dora Riparia, risale al colle del Moncenisio.
È il 30 gennaio 726 quando il diacono Saxo raccoglie in forma scritta le volontà del ricco e potente funzionario franco Abbone, governatore di Susa e Moriana che dal suo patrimonio galloromano individua terre e uomini destinati a costituire il primo nucleo dell’economia abbaziale. Da Marsiglia alle Alpi si attesta la primitiva potenza novalicense, destinata a testimoniare la progettualità franca a ridosso del confine longobardo.
Nel 773 sarà da Novalesa che Carlo Magno troverà il modo di organizzare il suo esercito per l’ultimo assalto al confine delle chiuse, dove cercano di resistere gli uomini che Desiderio ha schierato a protezione del suo regno di Longobardia (il nome che supererà la fine di quel Regno e che darà origine alla moderna Lombardia).
L’impresa è memorabile e le cronache dell’abbazia non tarderanno a rivestirla di un alone di leggenda: la Novalesa franca è soprattutto frequentata da re ed è luogo dove gli stessi figli di re abbracciano la vita monastica. Anche la nuova occupazione del regno longobardo non solo modifica, quanto piuttosto sdrammatizza, i vecchi conflitti etnici portando i nuovi confini allo spartiacque del Moncenisio e del Monginevro: l’unità carolingia delle valli non durerà tuttavia a lungo, segnando anzi per secoli l’ultimo momento in cui Alta e bassa Valle di Susa vivranno sotto un unico potere centralizzato.
Ma nella tradizione della val Cenischia e della sua comunità monastica, più che il ricordo di Carlo Magno e Desiderio resterà l’immagine vivissima del suo abate Eldrado (IX sec.) che un abile e raffinato pittore ha immortalato nelle pareti affrescate del cenobio, narrandone il percorso di perfezione e attribuendo al suo santo corpo, racchiuso in una teca argentea, la memoria di un culto locale.
È importante ricordare che, attorno all’anno 1000, i monaci della Novalesa hanno ancora il ricordo dell’Arco di Re Cozio, ma ormai confuso in un alone leggendario: nessuno sa più a cosa si riferisca la scritta latina sull’Arco, che è ormai parte integrante delle fortificazione del Castello di Susa.
Questo “conglobamento” dell’Arco nel Castello avrà comunque un effetto benefico per il nostro prezioso monumento: non solo nessuno penserà a distruggerlo per ricavarne materiali da costruzione, ma le stesse mura del Castello gli faranno da protezione, nascondendolo per molti secoli alla vista e preparando la sua ricomparsa, nel Settecento illuminista, che torna ad essere interessatissimo alle glorie antiche di Roma.
Anche dopo il tramonto della potenza dei Carolingi, e con il primo affermarsi della potenza dinastica dei Savoia, non verrà meno la spinta spirituale, che mira a congiungere il controllo del territorio – con il ruolo sempre centrale di Susa – a grandi realizzazioni religiose.
Tra tanti atti di fede e tra tante volontà edificatrici, per Susa si segnala le fondazioni del monastero benedettino di S. Giusto (1029), destinato ad una lunga vita che – oggi – si materializza nell’imponente edificio della Chiesa Cattedrale (con il possente campanile, alto ben 51 metri, equivalenti a 17 piani di un moderno edificio). Susa quindi continua a vivere, restano “regina” dei transiti attraverso le Alpi, anche se il suo Arco…. giace nascosto e sconosciuto.
Lasciando pertanto il nostro Arco nascosto nelle mura del Castello, l’attenzione si concentra sulle caratteristiche di Susa tra Seicento e Settecento, allorquando si preparano gli avvenimenti che porteranno alla riscoperta dell’antico monumento di Re Cozio.
Tra Sei e Settecento la nostra Valle e la stessa città di Susa sono coperte da un’esplosione barocca di chiese e oratori, che ridisegna il panorama devozionale di numerose comunità alpine. Arredi liturgici e macchine d’altare si moltiplicano, impreziosendo le vecchie strutture tardogotiche delle chiese locali, in un connubio di stili e soluzioni artistiche che meritano più di una sosta e di una visita.
Il Settecento si apre all’insegna della gloria militare sabauda, con la conquista, da parte del Duca di Savoia, delle terre francesi del Chisone e della Alta Valle Dora (1708), durante la guerra di successione di Spagna.
Il Duca sabaudo Vittorio Amedeo II – diventando al contempo Re di Sardegna e coronando quindi il secolare “sogno reale” dei Savoia – riesce così a ricomporre allo spartiacque alpino quell’unità che le valli non avevano praticamente più conosciuto dopo l’età carolingia. Il trattato di Utrecht sancisce nel 1713 la nuova sovranità.
Si tratta, per Susa e per la sua Valle, di un passaggio epocale, che apre le porte al mondo europeo, quale oggi ancora lo conosciamo: il confine si sposta sul crinale delle Alpi, affidando alla Città di Susa un fondamentale ruolo di retrovia, nella difesa dei confini così faticosamente ottenuti.
Il Settecento vede così nascere nuove fortezze dai massicci fronti bastionati e casamattati che devono proteggere la capitale, Torino, da ogni minaccia francese.
La nuova fortezza di Exilles, dal vasto fronte ribaltato contro la Francia, la sinuosa e ciclopica Fenestrelle che si slancia sul versante sinistro del Chisone risalendo il crinale, la bella ed elegante Brunetta di Susa costituiscono un deterrente biglietto da visita dell’orgoglio militare sabaudo. Visitate da principi e potenti – ricordiamo l’imperatore d’Austria Giuseppe II e lo zar Paolo I – diffondono nelle corti europee l’immagine di un Piemonte segnato da una vocazione militare utilmente applicata alle nuove tecnologie della difesa e della scienza matematica.