L’armistizio di Cherasco (28 aprile 1796) con cui si concluse la prima parte della guerra aprì la valle ai francesi che ebbero libero transito, ma furono accolti con diffidenza e solo pochi dimostrarono simpatie giacobine. Questo si può spiegare col fatto che la Val di Susa era uno dei più antichi possedimenti di Casa Savoia e di fedeltà secolare alla monarchia. Per questo le idee rivoluzionarie non trovarono mai terreno fertile nei valligiani fedeli al loro Sovrano, come nel resto del Piemonte. Con il trattato di Parigi che sancì le condizioni di pace (15 maggio 1796), Napoleone impose la demolizione dei forti sul confine e così anche quelli di Exilles e della Brunetta furono distrutti.
Il primo fu smantellato da una compagnia di minatori del genio piemontese con un lavoro che durò due anni sotto la direzione del maggiore Trona e la diffidente sorveglianza dei francesi.
Il secondo fu fatto saltare con potenti mine (i massi finirono fin sul paese di Mompantero) e l’opera di demolizione fu diretta dal segusino ing. Lana. Il Cavalier Ponsero scrive in stile magniloquente sul forte della Brunetta:
Comandò il re all’ing. Bertola che non guardasse nè a spesa, nè a tempo, nè a fatica e la facesse inespugnabile. Il sovrano intento fu eseguito; essa fu inaccessibile e impenetrabile. I bastioni, le cortine, le casermette furono scavate nel vivo sasso. Erano i magazzini o sotto il macigno o artefatti a botta di bomba come le caserme. Un pozzo d’acqua viva nel mezzo della fortezza scavato nel vivo macigno alla profondità di m. 47,94 sopra un diametro di m. 3,42 coperto a botta di bomba, la rendeva sicura dalla sete come già era dalle mine.
Munita era di 100 bocche da fuoco, e per il gran numero di casematte, quella detta “reale” col mezzo di una batteria coperta di 16 cannoni, addoppiava i fulmini della piazza nella valle della Cenischia e verso Mompantero. Il celebre medico Botta nella sua “Storia d’Italia” e principalmente in quella continuata dal Guicciardini, scrisse alcune sublimi e commoventi pagine relative a questa fortezza, che l’immortale Giuseppe II imperatore d’Austria, Paolo II imperatore di Russia, ed altri sovrani visitavano come una maraviglia.
Ora vasti ruderi segnano la tomba precoce della grande fortezza e ne lasciano intravvedere la grandiosa sagomatura. Colà una lapide di autore per me ignoto ricordava la grande scomparsa con queste parole:Il vigile guardiano delle Alpi
pose me torreggiante su questo masso ebbi vita breve ed immacolata dal sangue.
Napoleone a vilipendio maggiore dei conquistati me volle divelta
per i nipoti dei miei autori.
Ambi siam onde memorie con diversa fama;
un salice appena addita la tomba del guerriero; ampie rovine
il loco ove io sorsi superba Uomini specchiatevi in noi.
La costruzione della fortezza della Brunetta fu iniziata già nel 1708 e i lavori terminarono, dopo quasi ottanta anni di lavoro, nel 1788. La costruzione definitiva inglobava il vecchio forte di S. Maria e la ridotta Catinat. I primi lavori furono iniziati sotto la direzione di Antonio Bertola, proseguirono sotto suo figlio Ignazio Bertola e terminarono quando era intendente il figlio di quest’ultimo, Antonio Ignazio Bertola. Il Bonino porta come data della costruzione del forte il 1747 rifacendosi al Ponsero che però parla del 1757 cadendo in errore perché alla metà del 1800 i documenti che riguardavano la costruzione di fortificazioni erano segreti ed egli dovette rifarsi ai racconti dei testimoni ancora viventi che si riferivano non all’inizio dei lavori, ma al definitivo ampliamento, avvenuto appunto nel 1757.
Nel 1796, dopo la pace di Parigi, i francesi occuparono subito la fortezza evacuandovi le guarnigioni piemontesi che la occupavano e iniziò un lungo carteggio con il governo di Torino che tentò di evitarne la distruzione.
I documenti relativi alla demolizione del forte della Brunetta e di Exilles si trovano all’Archivio di Stato di Torino, 1° sezione, Fabbriche e Fortificazioni, mazzo 3° d’addizione n. II.
La distruzione di queste fortezze venne deliberata a carico dell’erario sabaudo, per Susa in particolare venne addirittura decisa in un primo tempo, la demolizione della cinta romana, delle torri e del castello della marchesa Adelaide, poi accantonata in cambio di quella del forte di S. Maria.
Ad un certo momento si pensò addirittura ad una demolizione dell’intera città poi, grazie a Dio, l’idea fu abbandonata. Il governo sardo, che forse non si rendeva conto della gravità della situazione, si batteva per salvare il salvabile.
Una interminabile corrispondenza fu avviata per evitare la demolizione dei fabbricati civili della Brunetta.
In quest’opera vennero a trovarsi di fronte grossi personaggi come Lazzaro Carnot, Kellerman, Prospero Balbo, Charles Delocroix, ministro degli esteri della Repubblica francese e altri minori come il colonnello Zino, il Cav. Franco, ufficiali dell’esercito che ebbero l’amaro incarico di dirigere la demolizione e condurre le non facili trattative con i commissari francesi.
Da un punto di vista cronologico la vicenda si svolse nel seguente modo:
- 27 giugno 1796: Vittorio Amedeo III incaricò il cav. Zino di incontrare il generale Kellerman per disporre le demolizioni dei forti.
- 15 novembre 1796: il cav. Zino chiese che i lavori, stante il rigore invernale, fossero sospesi sino alla primavera. Esisteva nei piemontesi la remota speranza di salvare qualcosa, non si rendevano conto che i francesi non avrebbero dato loro tregua.
- 3 aprile 1797: il conte Colloretto inviò al cav. di Priocca, ministro degli esteri, una pianta della città di Susa da spedire all’ambasciatore a Parigi, Prospero Balbo. Oliesto per evitare che si potessero eludere le pretese di abbattimento di alcune opere presso Susa che, quantunque non fossero fortificazioni, avrebbero potuto talvolta essere considerate tali.
- 8 aprile 1797: lettera del ministro degli esteri Charles Delacroix in cui si rispondeva negativamente alle richieste del governo sardo.
- 8 giugno 1797: il generale Kellerman scrisse al cav. Zino che il Direttorio approvava la conservazione dei fabbricati civili della Brunetta.
- 16 giugno 1797: Prospero Balbo scrisse a Torino per inviare una copia concernente sempre la questione dei fabbricati civili; il governo francese non sapeva bene quali fabbricati mantenere e quali demolire.
Questa è una lettera di grande valore umano, mostra l’angoscia di quest’uomo che lotta da solo contro dei problemi più grandi di lui. - 10 luglio 1797: lettera di Delacroix al conte Balbo circa la disposizione del Direttorio che conferma va di non demolire i fabbricati civili.
- 13 luglio 1797: Prospero Balbo inviò a Torino la lettera citata prima, dicendo:
Qui si gioca a rimpiattino, e potete vedere come qui si conducono gli affari, i ministri agiscono in dipendentemente. - 16 luglio 1797: il governatore di Susa, conte Solaro di Villanova, scrisse a Torino per informare che Bonaparte pareva non volesse le demolizioni in Susa. Parlò anche di un certo Dabou, capo brigata d’artiglieria, che avrebbe voluto demolire tutto in Susa, anche le costruzioni civili.
Costui era spalleggiato da persone che avevano carteggio con Parigi. Parlò inoltre di un aiuto di Bonaparte che era passato da Susa per andare a Parigi. Il generale Ponget, comandante dei francesi in Susa, era circondato da elementi postisi in vista durante il Terrore e che avrebbero voluto mettersi ulteriormente in mostra. - 27 luglio 1797: i ministri francesi pareva si fossero messi d’accordo sulle demolizioni.
- 6 agosto 1797: gli edifici erano ancora motivo di disputa. Di Salmour, a nome del Congresso delle fortificazioni, scrisse che erano state ricevute due lettere: una di Kellerman che diceva di conservare le fabbriche civili, una di La Peyrouse che diceva di demolire anche le fortificazioni romane di Susa. Occorreva agire sull’ambasciatore francese e sul generale Kellerman.
- 13 agosto 1797: Kellerman scrisse a Zino che non giustificava le sue inquietudini sulle demolizioni. Il generale La Peyrouse scrisse a Parigi in maniera ultimativa.
- 15 agosto 1797: il conte Solaro scrisse di aver inviato a Chambéry una lettera del cav. Priocca per Kellerman:
Non penso che vi sarà risposta, o quanto meno sarà interlocutoria. Il Direttorio non ha più una logica onesta. I francesi in Susa, al comando del Ponget, imperversano, sono pieni di soldi. Non sono state ancora attaccate le fondamenta della Brunetta, si attende l’ordine di La Peyrouse.
Questa attesa la paghiamo cara; per occupare i minatori, lì sono usati per demolire le rocce, qui si fa poco lavoro e un gran consumo di polvere.
È di questo periodo la demolizione del castello di Mompantero a causa dello spostamento d’aria provocato dalle esplosioni. - 2 settembre 1797: Zino fece una relazione su un colloquio con Kellerman in Susa. Non arrivò l’ultimatum atteso da Parigi. Zino presentò le sue rimostranze sulla demolizione delle rocce.
- 29 ottobre 1797: si riunì il consiglio di guerra in Susa per verificare la demolizione dei forti di Exilles, Santa Maria e la Brunetta.
La vicenda di Susa come fortezza ebbe così termine. Si costituirono due magazzini per raccogliere in uno, a Bussoleno, il legname proveniente dalla demolizione, l’altro a Susa per raccogliere la ferramenta.
Le rovine della Brunetta vennero poi adattate a trinceramenti dal generale russo Bagration, durante la riconquista del 1799, ma si trattò di un episodio marginale. - 1° dicembre 1797: Zino inviò una serie di notizie confidenziali, pareva che finalmente il Direttorio avesse concesso di mantenere i fabbricati civili più la cinta romana di Susa.
I francesi però stavano già mettendo le mani avanti per mantenere le loro truppe in Susa. Scopo ufficiale, mantenere l’ordine aiutando i Piemontesi; scopo recondito, essere già in loco per approfittare degli eventuali disordini. - 14 febbraio 1805 il maire di Susa inviò una lettera al ministro degli interni facendogli presente la situazione che si stava verificando nella città. Gli abitanti dei comuni vicini:
S’elargissent de plus en plus sur le terroir de cette ville par /es acquisitions qu’ils font très souvent des proprietaires de cette ville, lesquels faute de faurrage et de paturages pub/ics ou particuliers, se trou·,:ent privés des moyens d’entretenir du bétail et, par conséquent privés aussi de l’engrais, sont contraints à aliéner leurs fands au projìt desJorains, lesquels possèdent actuellement /es deux tiers et plus du territoire de Suse.
Si estendono sempre di più sul terreno di questa città, grazie alle acquisizioni che fanno molto spesso dai proprietari di questa città, i quali per mancanza di foraggi e di pascoli pubblici o priYati, si trovano senza mezzi per mantenere il bestiame e di conseguenza, privati anche del concime, ono obbligati ad abbandonare i loro terreni a favore degli stranieri, che posseggono attualmente i due terzi ed anche di più del territorio di Susa.
I cittadini, continua il maire, nonostante i grandi sacrifici fatti durante la guerra per rifornire i soldati si trovano ora in una condizione deplorevole, senza speranza di venire aiutati. Qualora, favoriti dalla fortuna, potessero risollevarsi dalla loro penosa situazione, ugualmente non potrebbero più tornare in possesso dei terreni venduti ai confinanti per questo viene richiesto al governo:
L‘abbandon et fa propriété au pro.fil de fa ville de Suse de tous !es terrains, pacages et emplacements qui étaient occupés par !es forts de fa Brunette et Saint Marie, demofis depuis quefques années, des batiments mifitaires et de l’église qui y furent conservés, de fa piace d’armes et générafement de tout ce que com prenaient !es dits forts; pour que !es habitants employant feur industrie pour en reduire en culture fa partie qui peut en etre susceptibfe, y trouvent des paturages pour entretenir quefque peu de bétaif; et se procurer par là une petite subsistance.
L’abbandono e la proprietà a vantaggio della città di Susa di tutti i terreni, pascoli e ubicazioni che erano occupate dai forti della Brunetta e Santa Maria, demoliti da qualche anno, degli edifici militari e della chiesa che lì erano conservati, della piazza d’armi e, generalmente, di tutto quello che comprendevano i cosiddetti forti, affinché gli abitanti, impegnando la loro abilità per ridurre a coltivazione la parte che può essere possibile, vi trovino dei pascoli per mantenere un po’ di bestiame e si procurino in questo modo una piccola sussistenza.
Il terreno su cui si ergevano i forti era di circa 67 ettari, ma quello coltivabile non superava i 3 ettari, il resto era coperto di pietre e rocce in modo tale che solo un’opera immane e lunghissima avrebbe potuto renderlo coltivabile.
Conclude dicendo:
Vous veuiffez vous daigner d’accorderà cette pauvre ville de Suse f’abbandon et proprieté des emplacements, batiments etpiace d’armes susdits, pour que fa commune en puisse jouir soitgratuitement, en récompense des sacrifices faits, soit meme à titre d’acompte du prix des fournitures excèdant fa somme de 300 mille francs qui fui est due, et par ce moyen procure aux plus indigents des moyens de subsistance.
Vogliate degnarvi di accordare a questa povera città di Susa la proprietà dei possedimenti, edifici e piazza d’Armi sopraddetti, affinché il comune possa goderne sia gratuitamente, come ricompensa dei sacrifici fatti, sia a titolo d’acconto del prezzo delle forniture eccedenti la somma di 300.000 mila franchi che gli è dovuta e in questo modo procuri ai più indigenti dei mezzi di sussistenza.
Il sottoprefetto Jaquet appoggiò la richiesta dei cittadini.
Non si sa quale esito abbia avuto questa proposta.
Durante la restaurazione si procedette alla ricostruzione del forte di Exilles, ma non di quelli di Susa, ormai resi inutili dalle moderne tecniche di guerra introdotte dalla strategia napoleonica.